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14 ottobre 2012 7 14 /10 /ottobre /2012 18:04

Una poesia per una persona ormai lontana

 

 

A te, così distante

 

Ti penso,

chissà dove sei,

distante o vicina

magari nascosta

in un raggio di luce.

 

Di te il ricordo

momenti d’emozione intensa

momenti impressi nella mente

ricordi scivolano tra lacrime

e sorrisi

 

Nessun maggior dolore

del ricordo di te, ora lontana

nessun maggior dolore

saperti distante

ormai persa per sempre

 

La tua assenza

riempie il mio cuore

sei con me tra le parole

di un destino non detto

di un amore indicibile

 

Sei con me

nella mia vita

nelle mie cose

impressa

in un sogno porto con me

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serenafuart
12 ottobre 2012 5 12 /10 /ottobre /2012 18:32

Un’invenzione simbolica può modificare la realtà. Per dire questo, mi sono ispirata, come tante femministe hanno fatto prima di me, alla mistica.

Ho letto diversi libri, le mistiche hanno approcciato la realtà in modo differente e hanno avviato pratiche di grande cambiamento.

Ci si può ispirare a loro per cambiare. Per avere finalmente un’invenzione simbolica che risolva ciò che ancora non va nella relazione tra donne.

Ho avuto un’amica che presa dal potere è entrata in competizione con me. Probabilmente il potere riguarda anche ma anche se non è a livello cosciente anche perché, diversamente, non avrei litigato con lei. Ma sono alla ricerca di un’invenzione per cambiare le cose. Intanto un lavoro su di me.

Prendo spunto da un bellissimo libro Caterina e Teresa di Antonietta Potente e Giselle Gómez.

Nell’introduzione di Francesca Brezzi si trova scritto:

“Le nostre autrici sono lontane da una concezione di mistica come pratica di perfezione per iniziati, disegnando una mistica come nuova relazione con la realtà, gli esseri e il mistero (pag. 41), come esperienza di rimanere nel centro (p.39), quale dimensione profonda delle cose (p.46). Ne deriva un nuovo concetto di spiritualità: spesso fraintesa come caratteristica che può essere semplicemente aggiunta ad altri aspetti della vita, qui è colta come forza integrante ed essenziale per la vita intera. Ci sembra di intravedere nelle parole di Gómez e Potente, in accordo con altre teologhe, in specie latino-americane, il rifiuto di un concetto di spiritualità nel senso platonico, quale contrapposizione alla corporeità, più in profondità l’invito a comprenderla come azione di trasformazione della società; non, dunque, in senso ascetico, ma come energia, non come chiusura in se stessi, ma come vitalità che opera nel sociale….”

 

E ancora

 

“Nelle teologhe femministe appare una tensione per il sociale e una intenzione ecologica, che rivela una ulteriore dimensione dell’amore per gli altri: bisogna lasciar riposare la terra e farla germogliare di nuovo, prestare attenzione alla gestazione, alla gravidanza collettiva della natura, dare tempo alla terra di ri-creare”

 

Ri-creare. Ricreare un nuovo sé, lontano dalle logiche del potere, un sé libero, che vive il senso della differenza femminile. La competizione è maschile, tra donne c’è una circolazione di autorità e autorevolezza, ognuna può essere libera e protagonista nella sua vita senza per questo competere per essere le uniche, seguire il potere, possederlo…ricreare un altro sé, che si nutre dell’autorità e autorevolezza femminile che scorre nel rapporto tra donne, riconoscere l’immensa differenza e la disparità che c’è nel mondo femminile. Accettare le differenze, nutrirsi del sapere dell’altra, offrire la propria competenza all’altra. Uno scambio virtuoso, un circolo virtuoso che elimina l’invidia, l’avidità di potere. Un altro modo è possibile. E’ necessario attuare dei cambiamenti in se stesse e nelle relazioni che poi portano benefici al mondo intero.

 

 

“Il nostro lavoro riflette piuttosto la possibilità di entrare in un’ermeneutica della vita, cioè in un’interpretazione creativa e ri-creativa della vita e della storia” – scrivono le due autrici. Il libro è bellissimo

Le loro parole, ciò che scrivono mi stimolano a cambiare, cambiarmi…

Parole che mi fanno venire voglia di ricontattare la mia amica e dirle che per lei ci sono sempre nonostante i dissapori. Chissà che anche lei non si ravveda, non voglia lavorare su di sé, cambiare…

 

La mistica può essere un grande punto di svolta per una riflessione su di sé.

 

To be continued…

 

Sto scrivendo a proposito da Il dio delle donne di Luisa Muraro. Ho letto questo testo bellissimo e vorrei scrivere le mie impressioni per continuare su questo filone.

 

 

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serenafuart
12 ottobre 2012 5 12 /10 /ottobre /2012 18:26

“Al mondo siamo venuti che eravamo attesi, ci aspettavano persone che ci hanno offerto un po’ d’amore, che ci hanno sorriso e insegnato a parlare: è così che siamo diventati umani, grazie ad un ordine simbolico materno di cui la filosofia politica se ben poco o niente” scrive Luisa Muraro in

“Dio è violent” (nottetempo).

Questo passo fa pensare a quanto l’ordine simbolico della madre ha fatto per noi.

Queste parole sono state uno spunto per continuare a riflettere ancora sul rapporto madre figlia, nel caso sia stata lei ad allevarci.

Nostra madre ci ha insegnato a parlare e quindi ci ha introdotte nella vita. A lei un riconoscimento infinito.

“…per una donna, infatti, la relazione con la madre si intreccia con la propria identità e con la possibilità personale di diventare madre, e in questo intreccio il flusso continuo della vita – che da un uomo all’altro passa come una potenza impersonale e sparata dalla vita della coscienza – si traduce invece in un rapporto personale tra due donne. Si traduce, cioè, in biografia e storia, tant’è che qui, nel rapporto donna con donna, si decide la politica delle donne, come insegna la storia dei movimenti femministi” – si trova scritto a pag. 55 del libro di Luisa Muraro Il dio delle donne

 

Capita però che non si abbia un buon rapporto.

E’ successo anche a me.

E la sofferenza è tanta perché lei è la persona più importante che lo si voglia o no.

La madre è capace di influenzare il nostro stato d’animo  e la nostra esistenza.

Il dolore per un rapporto che non funziona agisce in noi corrodendo il nostro essere.

Si cerca di superare, di non pensarci, di continuare a vivere di cercare un’altra madre.

Ma il rapporto con colei che ci ha messo al mondo è sempre presente in noi e se non funziona un dolore più o meno latente ci accompagna nel cammino.

 

Del resto il rapporto tra madre e figlia comincia con una disparità molto forte

“la disparità incolmabile fra la potenza materna e l’inermia della creatura piccola, evocando la violenza di un corpo a corpo i cui l’amore nasce dalla dipendenza, cioè come l’odio, e in cui il desiderio e il bisogno, ancora inseparabili, si alimentano pericolosamente”.. (si trova ancora scritto ne Il dio delle donne a pag. 14)

Disparità che poi sembra rovesciarsi  in età adulta nel particolar caso in cui sia la madre ad avere bisogno della figlia perché non autosufficiente. Tuttavia il legame madre - figlia originale, la relazione che vede una madre potente che ha dato alla figlia il senso libero dell’esistenza, saranno impressi nella figlia in modo indelebile anche se la realtà dei fatti farà sembrare il contrario.

 

Quando ero adolescente, come ho già detto in precedenti post, anch’io non avevo un buon rapporto con mia madre. Ero ribelle e la consideravo una nemica.

Stavo male vivevo nel completo disordine simbolico. Non sapevo chi ero, ero continuamente in cerca di affetto, di senso, di libertà.

Poi le cose sono cambiate. Ho capito dopo certe esperienze che lei è l’unica che mi ama disinteressatamente e può dare senso alla mia esistenza. Il rapporto con lei è fondamentale, riempie d’immenso amore il nostro cuore, ci permette di camminare sicure nel mondo.

E da quando il mio rapporto con lei si è riempito d’amore le cose sono andate molto diversamente.

Si, perché una madre ama disinteressatamente.

In certi casi può essere che non lo riesca ad esprimere, comportandosi non bene, abbandonando la figlia, vivendo una relazione con lei conflittuale e caotica che può capitare in caso di disordine simbolico, quando non riesce ad essere libera dentro ed avere ben presente il senso della differenza femminile.

Non posso pronunciarmi più di tanto perché non è il mio caso.

Però posso dire che è possibile forse sanare sentimenti negativi verso di lei con la consapevolezza che è colei che ci ha messo al mondo e ci ha introdotte nel mondo. Poi può avere anche sbagliato. Ma questo rimane e il suo amore figliale ci sarà sempre anche se non lo dimostra. Perché una madre ama sempre la sua creatura soprattutto se donna….

L’amore di una madre c’è sempre anche se oscurato da varie vicende e da un disordine simbolico.

Credo possa essere uno spunto per stare meglio….

 

 

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serenafuart
7 ottobre 2012 7 07 /10 /ottobre /2012 11:14

Inizio un tema nuovo su cui vorrei discutere. Intanto faccio una premessa poi continuerò a scriverci

 

Non si tratta di relazioni binarie: ci sono non ci sono, soffro non soffro.

Parlerò a partire da storie che mi sono state raccontate

Le relazioni tra donne sono molto complesse.

 

La competizione

 

Esistono quelle tra pari in cui oltre all’amore e alla passione scattano sentimenti negativi come la competizione. Ho sentito tante persone che mi confidano di essere in competizione con la propria compagna.

Perché mi chiedo?

Tra donne entrano in gioco dinamiche e meccanismi diversi da quelli eterosessuali. Esiste la differenza tra le singole ma emergono sentimenti di identificazione perché si tende a considerarsi tutte uguali quindi si tende poi a volersi distinguere e a competere. Mi identifico, vedo me nell’altra ma nello stesso tempo l’altra è altra, e voglio in qualche modo distinguermi mettendomi in competizione.

Nonostante tutto c’è un amore profondo che caratterizza quel rapporto, un rapporto che fa si che le due, a volte, si fondano insieme e non distinguano più i confini.

Le dinamiche in gioco sono tante, ci sono emozioni forti, sentimenti di appartenenza e un’intimità profonda che resta scolpita nell’anima

 

Il tabù dell’incesto

 

Esistono poi le relazioni con differenza d’età. Dai casi che ho sentito, in quelle entrano in gioco molto spesso dei meccanismi di proiezione. Si ricrea un rapporto madre figlia una trappola che entra nel profondo della psiche creando dei meccanismi di attaccamento simbiotico. Il meccanismo madre e figlia sconvolge la singola, la porta in una dimensione di emotività forte che perdura anche quando c’è l’abbandono di una delle due. Le emozioni provate sono così forti che si rimpiangono per tutta la vita anche se il rapporto è finito male, se una o l’altra si è comportata male. C’è il sentimento di simbiosi, l’emozione provata che sono entrati nel profondo e da lì è difficile rimuoverli.

I giochi psicologici che si creano hanno a che fare con i rapporti reali madre figlia, si proietta sull’altra le relazioni famigliari. Questo crea una relazione come ho detto forte, caratterizzata da forti emozioni, troppo forti.

Quando la storia finisce lascia il segno. Ci possono essere anche altre storie ma un attaccamento alla donna che ti ha fatto da madre o da figlia, con la quale vivevi un rapporto simbolicamente incestuoso rimane e non passa. E’ sempre fonte di forte turbamento.

 

 

 

 

 

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serenafuart
7 ottobre 2012 7 07 /10 /ottobre /2012 10:52

Il libro sta nascendo ovvero le persone lo stanno leggendo. Intanto i commenti dal miolibro.it poi  parlerò degli altri

 

Un bel modo di narrare, sincopato e scorrevole, che svela una grande capacità di analisi e arguzia sapiente nella composizione di dialoghi. Considerazioni, pensieri, sensazioni, emozioni di comuni personaggi trovate nella quotidianità di un metrò o di un locale Rock. Linguaggio misurato e garbato per una immersione nell’universo femminile piena di sentimento e utile alla conoscenza.

mercoledì 19 settembre 2012 commento alla 1a edizione

 

lettura piacevole, ben equilibrato. complimenti

domenica 16 settembre 2012 commento alla 1a edizione

 

Delizioso, scorrevole, ambienti ben descritti, cattura dalle prime pagine.

 

Realistico, quindi interessante; ma anche molto piacevole da leggersi. Brava.

lunedì 10 settembre 2012 commento alla 1a edizione

 

UN’ ANTEPRIMA SCORREVOLE E UNA NARRAZIONE PERFETTA COME LA DESCRIZIONE DEI PERSONAGGI .BENE AMBIENTATO

domenica 9 settembre 2012 commento alla 1a edizione

 

Molto interessante sin dalle prime pagine e, poi, la presentazione del libro fa il resto: si lascia leggere e incuriosisce. COmplimenti!

 

Ho trovato l’anteprima del libro scorrevole e scritta con uno stile molto garbato, i personaggi sono davvero ben tratteggiati. Il romanzo riesce a conquistare completamente il lettore fin dalle prime pagine.

mercoledì 5 settembre 2012 commento alla 1a edizione

 

bello e affascinante, cattura il lettore per la sua scorrevolezza nel leggerlo, ottimo come impostazione e ben scritto.... complimenti bravissima

lunedì 3 settembre 2012 commento alla 1a edizione

 

BRAVA

semplice, gradevole, e soprattutto scorrevole...da quello che scrivi nelle prime pagine si preannuncia uno stupendo lavoro...ancora davvero complimenti!

 

Un anteprima scorrevole che cattura il lettore nel complesso mondo delle relazioni femminili! Ben scritto! Complimenti!

 

 

Cosa ho voluto dire con questo libro?

 

Sono quattro novelle che contengono cinque storie d’amore. Le protagoniste le vivranno fino in fondo e le loro vite cambieranno per sempre.

 

Nei racconti emergono le relazioni tra donne. Emerge l’invidia, la solidarietà, l’amore…tutti sentimenti che esistono realmente. Infatti le storie hanno tutte, tranne l’ultima, Crazy tv, un fondamento di realtà. Lost in time, Cattive compagnie, Cuore Perduto sono ispirate a casi realmente accaduti, storie vere che poi sono state chiaramente modificate nei nomi e in certi fatti, c’è stata un’aggiunta abbondante di fantasia.

 

I miei racconti all’apparenza sono molto edulcorati e fantasiosi. E’ il mio stile quello di abbellire sempre la realtà. Tuttavia i temi trattati non sono affatto edulcorati. In lost in time parlo di un tradimento tra amiche. Presa dalla invidia e dalla competizione, Paige, amica di Sandra la tradirà…un tradimento che si insinua nel mondo ancora rosa della giovane Sandra…

In Cattive compagnie parlo di una storia d’amore che nasconde delle cattive intenzioni da parte di una delle due amanti. Ma parlo anche dell’amore cieco e irrazionale che di fronte l’evidenza della malvagità della persona amata continua nonostante tutto e tra donne esiste quest’amore cieco, quest’amore irrazionale. Posso parlare anche per esperienza. Le donne quando amano è come si fondessero tra loro creando un legame che è diverso, assolutamente diverso da quello eterosessuale. Quando c’è l’amore vero c’è un legame di rispecchiamento.

In Cuore perduto, Ambretta perde la testa in tutti i sensi per l’amata. E finisce in clinica psichiatrica quando questa la molla. Lis Denver la sua amante è una che con le donne ci gioca, è crudele, ma alle spalle ha una storia brutta che spiega la sua crudeltà senza però giustificarla.

Ambretta invece è viziata, è ancora una bambina e non sopporterà quel dolore della perdita più grande di lei finendo in clinica e andandola poi a cercare disperatamente. Esistono casi così di amori folli tra donne non tantissimi ma ci sono così lo posso testimoniare.

Crazy tv è un haromony lesbico. Avevo fantasia e mi sono ispirata a delle vicende televisivie avvenute negli anni 2000. Ho trattato comunque il tema dell’invidia e del rapporto tra sorelle

 

 

Ho voluto parlare di amore tra donne e di relazioni tra donne. Delle complessità di questo mondo. I racconti sono fatti di sensazioni ed emozioni. Quelle emozioni che ti fanno crescere, vivere, tremare, gioire….emozioni allo stato puro

 

CRITICHE E PRIMI COMMENTI

 

Passiamo al parere delle amiche in carne d’ossa e di mia madre.

Sabrina dice che le è piaciuta molto la prima novella, che scrivo bene e che è un libro che va fatto conoscere alle donne.

Luisa l’ha letto tutto d’un fiato. Riferisce che tiene viva l’attenzione anche a una come lei che di solito dopo le prime pagine lascia stare. La prima parte le è piaciuta la seconda era un po’ lenta

Mia mamma parla di scrittura originale e di suspence. Dice però che ci sono refusi.

Qui dico: ho fatto tutto da sola, mi sono impegnata tantissimo ma purtroppo al  momento non ho potuto fare di più

Marcella lo legge avidamente mentre in metrò va al lavoro e le piace.

Silvia ribadisce i refusi e sostiene che c’è un errore che vi svelerò

 

 

COSA DIRE

Ringrazio intanto chi mi ha fatto onore leggendo e chi lo leggerà.

Ho fatto del mio meglio perché ho dovuto curare tutto da sola. Nessuno mi ha aiutato né potevo chiedere aiuto perché il testo è molto lungo e al computer è molto pesante leggerlo.

Ho voluto lanciare dei messaggi, l’ho fatto in modo fantasioso perché le storie sono prese da casi reali ma dovevo modificarle per non far riconoscere i personaggi. Ho usato molta fantasia e ho viaggiato con la mente. Mi sono documentata forse qualcosa però mi è sfuggito.

 

Che dire leggetelo poi mi farete sapere. Sono importanti le critiche e i complimenti. Le critiche aiutano a crescere i complimenti fanno sempre piacere

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serenafuart
3 ottobre 2012 3 03 /10 /ottobre /2012 14:56

Mia madre e la politica delle donne

 

Mia madre è una femminista della differenza pur senza aver partecipato mai ad alcun gruppo, né scritto qualcosa. La sua politica l’ha fatta in relazione con me, insegnandomi delle cose e cercando di portarmi verso la strada di un simbolico diverso da quello dominante.

Quando ero più giovane le mie idee e le sue erano contrastanti. Io ero un’emancipazionista, volevo la parità tra uomo e donna e volevo essere come un uomo.

Solo successivamente ho capito quanto questo desiderio mi potesse tagliare le gambe, soffocare la mia differenza e la mia personalità e inoltre, secondo le mie lotte, avrei dovuto abitare in un mondo di uomini e di donne che li imitano in tutto e per tutto, quindi un mondo totalmente maschile.

Ho cambiato idea e ho aderito al femminismo della differenza e in quel momento mi sono accorta del pensiero di mia madre.

Quando ero emancipazionista le chiedevo “Perché le donne non sono nei luoghi di potere?”

E lei senza troppi indugi rispondeva “perché probabilmente a loro non interessa come a me” oppure dicevo anche “uomini e donne sono uguali” e lei “sono profondamente diversi” e poi facevamo un discorso a partire dalla sessualità (quella volta ero giovane e avevo quello per la testa).

E’ lei che mi ha insegnato a non mettermi in competizione e star fuori dalle logiche di potere.

Mi diceva “cerca il tuo spazio ma non voler andare troppo in alto perché in quei contesti c’è competizione e smania di potere. Cerca di realizzarti senza per questo entrare in certe dinamiche.”

Mia madre sostiene che cercando di cambiare noi stesse cercando la libertà si possa incidere sulla società e così  fare un gesto politico a partire da sé.

 

Mia madre e il lavoro

 

Si è sempre impegnata molto nel lavoro, lo amava, lo svolgeva con passione tuttavia, diceva sempre “il lavoro non è la vita”.

Si è scelta una professione che la appagava, faceva la ragioniera e l’amministratrice di società, amava i conti, i numeri erano e sono la sua passione.

Ha lavorato sempre con impegno e responsabilità, mai un’assenza se non in casi di forti malesseri.

Ha scelto il part time perché voleva tempo per sé e per me. La vita ha dei valori che vanno al di là del lavoro, diceva sempre, quindi pur avendone le capacità non si è mai buttata in una corsa alla carriera sfrenata che le avrebbe sottratto momenti di vita per lei preziosa “preziosa come il tuo saggio con il coro a 14 anni” mi ha raccontato.

E così ha cercato di trasmettermi questo insegnamento.

Io all’inizio volevo fare carriera, i primi tempi lavoravo come una matta. Rinunciavo a me. Quando mi sono trovata senza lavoro e avevo la possibilità di cambiare è stata lei che mi ha suggerito un lavoro part time così che potessi prendermi cura di me. L’ho scelto rinunciando a carriere nel campo del giornalismo come avrei potuto. Avrei potuto però sacrificando molte cose di me perché avrei dovuto sgomitare come una matta dato il momento così difficile

Oltre a mia mamma frequento la libreria, l’agorà posti ho sentito riflessioni che mi hanno fatto scardinare certe idee che avevo. Mi identificavo nel lavoro, per cui un lavoro più tranquillo equivaleva a un mio fallimento, pensavo. Invece no, il lavoro è parte di noi ma non siamo noi. Noi siamo anche altro. E io non sono solo il mio lavoro. Così mi sono buttata nella mia nuova vita.

Adesso ho un lavoro di assistenza clienti sky part time che mi tengo stretta perché tranquillo, con gente giovane e simpatica e team leader umani e comprensivi. In questo posto si sta bene.

E poi posso svolgere anche un’altra professione: la psicologa che è quello per cui ho studiato. Fare la psicologa mi appaga e mi rende soddisfatta.

Ma tutto ciò mi lascia anche del tempo libero. Ho scritto un libro e ho due blog. Seguo la Libreria delle donne e faccio politica.

La mia vita è piena. Non mi riesco a immaginare nel mondo della pubblicità per esempio dove si lavora anche di notte. Ho trovato la giusta dimensione e mi sento realizzata.

Grazie alla libreria, all’agorà e…a mia mamma femminista della differenza

 

 

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serenafuart
16 settembre 2012 7 16 /09 /settembre /2012 21:51

Ho letto il testo di Luisella Brusa Mi vedevo riflessa nel suo specchio. Psicoanalisi del rapporto tra madre e figlia.

La riporto perché leggendo questo saggio in molti punti ho sentito l’ebbrezza della convalescenza, come dice Nietszche, del mio spirito che desiderava maggior conoscenza e approfondimento sul tema del rapporto con la madre. Un tema per me molto importante, che mi ha sempre turbato in quanto non riuscivo a trovare un percorso di studio o discussione per comprenderlo, non dico interamente perché non credo sia possibile, però sicuramente in maggior misura.

La complessità del rapporto madre figlia mi ha sempre incuriosito e affascinato, prima di tutto perché voglio godere al massimo la relazione con mia madre. In secondo luogo perché sono la mia esperienza ha dato prova che il rapporto che ho con lei incide nel rapporto con le altre donne.

Lia Cigarini scrive in La politica del desiderio: ‘dietro le altre donne, per ogni donna c’è la madre’

Credo profondamente questo sia vero. Il rapporto con mia madre ha fortemente influenzato quello con le altre donne. Molto spesso mi ritrovo a idealizzarla. Ovvero, c’è tanto di buono in lei. Mi ha aiutato tanto e tutto quello che mi dice si rivela appropriato per me. I suoi consigli è come se scavalcassero le leggi della ragione o dell’errore. Comunque questo buono lo tendo a idealizzare. E questo si traduce nei rapporti con le altre donne. Anche in maniera positiva: non ho nessun problema a riconoscere l’autorità, anzi, mi capita il problema opposto: secondo me tutte la hanno tranne me.

Com’è questo rapporto con la madre? Cosa funziona e cosa no?

E’ necessario partire da questa domanda a mio avviso per iniziare a capire poi come questa relazione incida poi su quella con le proprie pari.

Volevo riportare alcuni passi del libro di Luisella Brusa che mi hanno stimolato e riflettere e fatto chiarezza su alcuni punti.

 

“Si tratta dell’ipotesi che il significante fallico non dreni nella donna tutta la pulsione sessuale compreso il rapporto con il figlio…”

Da qui parte il concetto di devastazione.

 

“Questa avviene ogni volta che la relazione tra donne oltrepassa una certa soglia, la soglia ‘al di qua’ della quale la distanza è data dal rispetto delle forme o dalle presenza di un terzo che sia un uomo, un marito, un obiettivo, insomma un termine esterno che organizza il desiderio.La devastazione è strettamente legata all’attesa alla domanda. Una donna si attende qualcosa dalla madre. In luogo di questo qualcosa che è atteso incontra un’altra attesa, speculare, un vuoto che causa un gioco di specchi, un labirinto. L’attesa è l’attesa di un riconoscimento che sanzioni un godimento sospeso. Una sanzione che lo marchi, lo riconosca e lo introduca nel mondo degli scambi possibili, almeno tra donne”.

 

Si trova inoltre scritto: “la donna emerge nella figlia quando scopre che la madre non risponde su tutto della trasmissione della femminilità”.

 

Insomma c’è una parte di godimento femminile oscuro, non nominabile, ma presente e importante.

Diverso dal godimento regolato dall’ordine fallico. Un godimento che non è quindi regolato dal linguaggio, ma è legato al corpo e al sentire.

Nel libro di questo si tratta ampiamente quindi rimando la lettura al testo.

 

Il concetto dell’invenzione è nell’ultima parte del testo: ‘L’abbandono della devastazione’. Qui ho trovato la liberazione che cercavo perché ho capito di più.

“L’abbandono della devastazione nel rapporto donna-madre avviene quando il soggetto può assumere questo impossibile (Lacan lo definisce l’inesistenza del rapporto sessuale, con questo riferendosi alla irriducibile differenza nei due regimi di funzionamento maschile e femminile, ndr) e aprirsi all’invenzione di una particolare via femminile.

Il passaggio analitico che vi corrisponde per ciascuna è la scoperta che la trasmissione del testimone della femminilità non dipende dalla madre, perché in quanto donna anche la madre patisce di questo difetto di sapere, la madre non sa cos’è una donnacome si fa ad essere donna. Il modo di vivere al femminilità che la madre ha trovato vale per lei, è il suo ed ogni figlia ha il compito di trovare il proprio modo di intrecciare  il reale – l’impossibile di un godimento Altro che non si lascia ridurre all’Uno dell’immaginario – l’immagina del suo corpo e il simbolico –l’assenza di un significante che la designi come donna”.

 

Da queste parole si evince che, nei rapporti con le altre donne, la madre non può dare il senso della femminilità alla figlia, non lo può passare perché - come la figlia - patisce la posizione femminile, che è l'essere fuori dal sistema simbolico. Madre e figlia, nel senso di due
donne, in questo sono pari: necessitano entrambe di una invenzione soggettiva.

La madre però è la prima donna con cui si ha relazione. E’ naturale che il rapporto instaurato con lei si rifletta su quello con le altre donne.

Per riuscire a raggiungere però l’indipendenza da questa influenza è necessaria un’operazione di riconoscimento, riconoscimento di quali aspetti del rapporto con mia madre proietto sulle altre donne.

Dopo di che, cercare di operare un’invenzione soggettiva. Trovare il mio modo personale di essere donna. Un’invenzione, dunque, che parte non più da una mancanza ma da un supplemento, da un essere Altro, un’invenzione in tutta la sua complessità, che affianchi le contraddizioni e incomprensioni

Quali invenzioni ho apportato nella mia vita?

Innanzitutto riconoscendo che anch’io ho un mio modo personale di vivere la mia esistenza.

Vado a fondo delle mie emozioni, le legittimo, le vivo fino in fondo. Non le condanno se non sono come le sue. Insomma mi autorizzo. Mi autorizzo perchè una parte di sapere e di vivere dipende solo da me.

 

 

 

 

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serenafuart
16 settembre 2012 7 16 /09 /settembre /2012 21:49

L'articolo che sto per pubblicare ha avuto luogo nel 2006 ed è stato pubblicato sul sito www.libreriadelledonne.it

 

Sabato 21 gennaio alla Libreria delle donne ha avuto luogo il primo degli incontri del ciclo Tra il matricidio e il monumento alla madre: la politica delle donne. Lo scopo di questo lavoro, a cura di Sara Gandini, Laura Colombo e Serena Fuart è esplorare il senso e la complessità della relazione tra donne e della relazione madre/figlia, e verificare la forza delle genealogie femminili al presente.
Ha senso quindi ritornare a mettere al centro il rapporto con la madre, perché l’irrinunciabile libertà arrivata fino a noi dallo spostamento operato da pensiero della differenza presenta lati d’ombra troppo spesso elusi. Nel primo incontro è stata ospite la psicoanalista Luisella Brusa che, a partire dai suoi lavori e dal suo testo Mi vedevo riflessa nel suo specchio ha indagato aspetti della
sessualità femminile che spiegano l’oscuro e il negativo della relazione tra donne a partire dalle teorie lacaniane.

     
  
Tra il matricidio e il monumento alla madre

 

Tra il matricidio e il monumento alla madre: il titolo è evocativo, e dice molto di noi che lo abbiamo pensato e messo in capo a questo ciclo di incontri – con queste parole inizia il suo intervento Laura Colombo. Intervento che riporto interamente.

“Il matricidio innanzitutto richiama la cultura patriarcale, il fatto che a fondamento della nostra civiltà sta un matricidio impunito. Irigaray sostiene che il patriarcato deriva dal matricidio e dall’assunzione progressiva del maschile a simbolo universale, a unica forma di mediazione (pensiamo al fatto elementare del genere nella lingua italiana).

In Sessi e Genealogie scrive: “Oreste uccide la madre perché lo esige l’impero del Dio Padre e lo esige il suo appropriarsi delle potenze arcaiche della madre terra”.

Ma in un certo senso anche il monumento alla madre sta dentro la cultura patriarcale, nel senso che il posto della madre è l’unico davvero legittimo per la donna all’interno del patriarcato.

 

Il rigetto della figura materna (qualcuna lo chiama matricidio – per esempio Dominijanni) è anche stata una delle mosse che una parte delle femministe ha fatto per ottenere l’inclusione nel mondo degli uomini, l’emancipazione da uno stato di subordinazione. In questa logica sta il rifiuto della madre, la negazione della differenza sessuale e il puntare su una politica di parità. Tutte cose che avallano l’assunto patriarcale del marchio di inferiorità che accompagna la donna (il suo corpo, il suo legame con la vita come immediatezza - la donna è vista come meno umana, vicina all’animalità, essendo legata alla riproduzione e al corpo).

 

Però negli anni Settanta alcuni collettivi femministi operano un radicale spostamento di paradigma: non solo valorizzano la differenza femminile, ma mettono al centro il rapporto con la madre, luogo dell'origine e contemporaneamente di una censura che non ha permesso la libera significazione di sé.

Si sottraggono in questo modo alla relazione di produzione e riproduzione patriarcali, per cercare un ordine simbolico che permetta di dare un senso al proprio essere donna e consenta di stabilire relazioni libere tra donne e con l’altro sesso. Alcune (e Luisa Muraro tra queste) l’hanno chiamato ordine simbolico della madre, e hanno parlato di lingua materna, la lingua che viene trasmessa e insegnata dalla madre.

Le pratiche politiche che maturano nel femminismo della differenza (non solo italiano), partono da due punti fondamentali:

1) c’è la valorizzazione della differenza femminile (pensiamo a Carla Lonzi e il suo gruppo Rivolta e al gruppo DEMAU);

2) c’è la valorizzazione della relazione materna;

3) a questo punto la mossa delle francesi (Luce Irigaray e Psychanalyse et Politique) e delle italiane è stata l’apertura alle genealogie femminili e alla figura materna;

A partire da questi presupposti la pratica politica della differenza si basa sulla relazione privilegiata tra donne, e l’immaginario fa riferimento alla figura simbolica della madre (parlo di immaginario perché la figura della madre simbolica è ripresa – nel Catalogo giallo – da Gertrude Stein, che parla in questi termini di una femminista dell’800. quella della madre simbolica è una figura che non appartiene all’ordine della necessità ma a un immaginario vasto, anche religioso, ma anche le Madres argentine ecc).

In questo modo, una soggettività femminile non asservita e intensa si alimenta, prende forza e consapevolezza dai rapporti tra donne, e la differenza si pensa secondo una dimensione orizzontale e verticale insieme. A questa forza le donne della nostra generazione non possono rinunciare. Non possiamo più fare a meno del potenziamento d’essere inaugurato dal femminismo, e sappiamo bene da dove ha preso origine.

 

Per noi (e non solo) ha un senso ritornare a mettere al centro il rapporto con la madre, perché l’irrinunciabile libertà arrivata fino a noi dallo spostamento operato da pensiero della differenza presenta lati d’ombra troppo spesso elusi da una retorica trionfalistica.

Qui parlo di me e della fatica – che coesiste con la forza di cui parlavo prima e che quindi indica un paradosso – di esserci pienamente nelle relazioni con donne che mi hanno preceduta cui attribuisco intelligenza, acume, profondità, sapere, sapienza politica ecc. Fatica di spendere – all’interno di relazioni segnate dall’autorità femminile – quel po’ di essere guadagnato, nel momento in cui confondo l’autorità col potere nel suo senso coercitivo, e mi consegno cieca e muta all’altra (che peraltro non sa che farsene di questo mio non-essere).

È una fatica che a volte è disagio, che spesso percepisco diffuso e serpeggiante anche qui, che sta nel cono d’ombra (come lo ha definito Chiara Zamboni a partire da Virginia Woolf nel grande seminario di quest’anno) della relazione con la madre, in quella parte di confusione inconscia, sofferta e senza parola tra la madre e la figlia, parte che evidenzia il bisogno di una messa in parola. Magari per dire – semplicemente – che questa opacità è necessario accettarla.

Per me parlo di fatica, di una lotta per esserci, appunto perché oggi sto parlando. Ma proprio patendo e riconoscendo questa fatica, proprio dal luogo della fatica abbiamo potuto chiederci che cosa ci permette di parlare, sempre di più e meglio. Ed è – come ha già detto Sara – una certa distanza ricercata intenzionalmente (nonostante all’inizio sembrasse un po’ un caso), uno spazio creato e praticato – innanzitutto con Sara ma non solo – in una dimensione orizzontale che non annulla la disparità, solo rende più praticabile la circolazione di autorità.

 

Parlavo di retorica trionfalistica e voglio spiegarmi: non si tratta qui di smantellare quanto di prezioso è stato fatto da chi ci ha preceduto – sarebbe una sorta di matricidio rinnovato – ma  noi arriviamo dopo, e certe volte ci sembra che si voglia far quadrare il presente con il passato, come se i conti debbano per forza tornare.

C’è anche un altro aspetto che Diana Sartori descrive nell’ultimo libro di Diotima. È (sono le sue parole) “la tendenza a scivolare nella “liturgia materna”, in una visione edulcorata del mondo delle relazioni femminili, imbellettata e che finisce sempre in gloria; un certo tono salvifico riguardo la politica delle donne come palingenesi della società (…). Il tutto in onore della grandezza materna, della libertà femminile, della forza che la nostra politica fa circolare tra noi”. Insomma, altro non è che la retorica di un’ideologia.

 

Le parti del libro di Luisella Brusa che più mi hanno coinvolta stanno appunto nella prospettiva della differenza che fa problema, di quello squilibrio nelle relazioni che può mettere in scacco, di quella parte più arcaica della relazione con la madre che inchioda nella dicotomia rifiuto/idealizzazione (una dinamica che si ripete nei rapporti tra donne).

Premetto che oggi questo mi interessa discutere con lei, e naturalmente ciò non esaurisce la complessità e l’eterogeneità del suo testo. Che analizza il rapporto madre-figlia per disegnare un orizzonte più ampio, e tematizzare il rapporto donna-madre – e lo fa nella prospettiva di Lacan, autore che ha un pensiero della differenza sessuale.

Sara ha già parlato della devastazione, che si compie ogni volta che la relazione tra donne oltrepassa una certa soglia, e Brusa scrive: “La devastazione è strettamente legata all’attesa, alla domanda. Una donna si attende qualcosa dalla madre. In luogo di questo qualcosa che è atteso incontra un’altra attesa, speculare, un vuoto che causa un gioco di specchi, un labirinto. L’attesa è l’attesa di un riconoscimento che sanzioni un godimento sospeso. Una sanzione che lo marchi, lo riconosca e lo introduca nel mondo degli scambi possibili, almeno tra donne. (…) L’unico modo che ha questa domanda di non produrre devastazioni è quello di mantenersi come domanda sospesa, in attesa”. (p.56) I casi che Brusa ci presenta nel libro sono paradigmatici: per esempio Simona, la cui femminilità è “congelata nell’anoressia”, in balia del capriccio materno.

La madre la adora e si sacrifica per lei e contemporaneamente la disprezza, annunciandole una stupidità che non potrà sfuggire e inchiodandola lì. La madre davanti ai figli irride il marito. Così Simona è fissata nell’attesa “che dalla madre venga una soluzione al suo essere”.

Per Laura è diverso: apparentemente ha una vita riuscita, un lavoro, un marito, un figlio. Ma proprio la maternità riattualizza la devastazione. Anche Laura è stata inchiodata dall’adorazione assoluta che la madre aveva per lei, perché la contropartita era la conferma incondizionata della madre da parte della bambina. Infatti se la madre (sono le parole di Luisella Brusa) “interpretava qualche atteggiamento della bambina come un rifiuto, le sue affettuosità si trasformavano improvvisamente in attacchi di violenza accompagnati da uno sguardo d’odio”. Così l’esperienza della maternità è per Laura il momento di riattualizzare l’angoscia di morte antica, che ora proietta sul figlio.

 

Un altro punto molto interessante del libro di Luisella Brusa è l’analisi del testo di Margherite Duras Il rapimento di Lol V. Stein, perché il rapporto tra donne in questo testo non è disegnato sotto il profilo della devastazione bensì del rapimento. Brevemente i tratti della storia si possono riassumere così: una sera d’estate, al ballo del casinò di una località balneare, una donna sconosciuta strappa a Lol V. Stein il suo promesso sposo Michael Richardson. La sconosciuta, Anne-Marie Stretter, trascina nella danza il giovane e Lol V. guarda rapita la nuova coppia di amanti. Non è gelosa: i suoi occhi non si staccano dalla coppia che danza, e quando la coppia allacciata scompare per sempre dalla sua vita, Lol V. Stein è rapita oltre se stessa, e continua a cercare smarrita ciò che le manca. La sua esistenza si raccoglie nel vuoto di quella mancanza. Duras scrive: “Mancava a Lol qualcosa per essere”. Tutto quello che avrebbe voluto era fermare l’azione, ma l’impossibilità di questo la lascia come svuotata, assente, silenziosa, ammutolita in una vita ingorgata, senza tempo. Lola fa la morta, anche nella normalità troppo normale del suo matrimonio borghese, normalità costruita come adesione totale alle istanze convenzionali a causa del suo vuoto d’essere. L’incontro casuale con Jacques Hold e con Tatiana Karl, compagna di collegio e testimone della notte fatale, offre la possibilità di ritrovare l’antica storia e portarla finalmente a compimento. Ciò che spinge Lol è la necessità di vedere realizzato il suo fantasma –  la cui inattuazione aveva causato il vuoto d’essere – ossia l’essere in tre. Per questo si nasconde in un campo, da dove può spiare la camera d’albergo dove avvengono gli incontri clandestini di Jacques e Tatiana: così può essere là dove si svolge l’amore, e può contemplare l’altra donna quando appare nella finestra, riappropriandosi infine di sé.

Il tentativo di Hold di riportare Lol al casinò, nel luogo dell’antico ballo, ed escludere Tatiana mettendo fine a quella triangolazione che per Lol è tutto, è un fallimento, e segna probabilmente una strada di squilibrio totale per Lol.

È interessante questa necessità di “essere tre”, che viene delineata come uno dei percorsi che permettono a una donna di trovare la propria strada. Ricerca che deve accogliere il vuoto d’essere, se non vuole infilarsi nelle scorciatoie della convenzione sociale o imboccare la via della psicosi.

 

 

 

La relazione madre-figlia: ‘il continente oscuro di tutti i continenti’ (Irigaray)

“Nel mio intervento tenterò di fare una gimcana tra il linguaggio e le tematiche più specificatamente psicanalitiche e il linguaggio e gli argomenti più legati alla politica delle donne, per tentare di creare un ponte tra due ambiti che non sempre riescono a dialogare”.

Così Sara Gandini inizia il suo intervento che riporto integralmente.

“La psicanalista Faccincani, nel grande seminario di Diotima, spiegava: Il punto fondamentale nella relazione madre/figlia è l'identità e la differenza, ossia la coesistenza tra dimensione speculare/identitaria e dimensione asimmetrica/differente. Nella relazione madre/figlia c'è la coesistenza della dimensione asimmetrica della differenza di posizione (chi genera e chi è generato) e la simmetria dell'identità sessuale, diversamente dal figlio maschio.

Il pensiero della differenza ha nominato la relazione con la madre come una risorsa fondamentale, sostenendo che per una donna il momento più significativo in cui si gioca qualcosa della sua identità e libertà e’ costituito dalla relazione genealogica con la madre. Non ha rinunciato quindi alla relazione con la madre, nonostante i conflitti, ma ha continuato ad investire, raccontando il sapere, l’intelligenza che viene dalla relazione con la madre. Far riferimento alle genealogie femminili ha voluto dire cominciare a parlare della disparità nei rapporti fra donne e di autorità femminile.

L’autorità femminile nasce dando inizio e coltivando relazioni significative tra donne, cioè quelle relazioni necessarie a una donna per rapportarsi al mondo. Rappresenta quindi la mediazione che consente la realizzazione del proprio desiderio grazie alla leva della disparità fra donne. Cito dal sottosopra rosso: “autorità come una figura dello scambio, per cui nessuno, nessuna è l'autorità, questa essendo invece riconoscibile nell'incremento che dà al circolo virtuoso delle relazioni mediatrici.” Il progetto del sito della libreria e’ un esempio della possibilità di tradurre la relazione madre-figlia nella progettualità sociale, un esempio di come l’autorità possa circolare tra donne di diverse generazioni e le disparità possano portare ad un rilancio del desiderio reciproco.

 

In questo contesto noi potremmo tentare di capire come la psicanalisi potrebbe tematizzare la relazione con la madre, nella crisi del patriarcato, e come tradurre il sapere psicanalitico in politica. Quando e’ scoppiato il ’68 c’erano psicanalisti come Facchinelli che hanno tentato di capire come legare l’agire politico alla pratica psicanalitica, sarebbe interessante capire se dopo i cambiamenti arrivati con il femminismo la psicanalisi riesce a trovare una strada stimolante in questa direzione.

Luisella Brusa nel suo Mi vedevo riflessa nel suo specchio ci racconta di casi clinici che mostrano la complessità della relazione madre-figlia, in cui ci sono opacità e zone d’ombra che non sono ancora dissipate. 

 

Da parte mia ho pensato di iniziare raccontandovi un sogno divertente che ho fatto l’anno scorso e che ci riporta alle genealogie femminili. Nel sogno una nonna, una madre, e tre figlie, tutte molto grasse giacciono insieme a me su un grande letto matrimoniale. Io sono sul bordo. Mia madre si infila giusto nel mezzo del letto, e io cado dal letto. Cosa mi dice questo sogno? Indubbiamente devo fare i conti con l’ingombro dato da queste genealogie femminili, che riempiono tutto lo spazio tanto da farmi cadere. Uno spazio da cui mi faccio espellere ma che e’ rappresentato da un letto. Un luogo quindi che ha a che fare con la vicinanza fisica e l’attrazione erotica. E’ un sogno quindi che mi parla della complessità di una relazione che attrae ma che fa problema.

 

Io sento fortemente questo bisogno di alimentarmi con le parole e i pensieri di donne a cui attribuisco autorità. Un alimentarmi che mi permette di evolvere e di trovare un mio modo di stare al mondo. L’incontro con alcune donne della libreria ha infatti rappresentato per me un altro modo di dare senso alla mia femminilità. Era la mia strada, diversa da quella di mia madre. Era la possibilità che mi rendeva fiera di quello che potevo diventare. Mi ricordo che una delle prime volte che partecipavo alla redazione di Via Dogana, avevo detto, abbastanza in modo inconsapevole, che il mio aderire al pensiero della differenza era stato un po’ come tradire mia madre. Probabilmente qualunque espressione di me stessa al di fuori del rapporto col femminile di tipo materno, che a volte vivevo come inglobante, veniva vissuta come tradimento, come tentativo “colpevole” di nominare la necessità della distinzione.

 

D’altra parte lo stare in libreria individuando progetti in cui anche la mia competenza, la mia esperienza, le mie domande potessero essere valorizzate, come il sito della libreria ma anche questo ciclo di incontri, per me ha voluto dire anche stare lì a lottare con l’autorità di alcune donne che mi davano moltissimo ma che per certi aspetti temevo.

 

Quando non riusciamo più a portare tutte noi stesse nella relazione perchè si teme il rifiuto dell’altra donna, si ha a che fare con l’assoluto materno. Quando, come diceva la Zamboni nell’ultimo seminario di Diotima, i conflitti diventano irrisolvibili, o quando, dico io, non si riesce a mettere sul piatto il proprio dissenso, lì può nascondersi l’oscuro materno e ritornare l’arcaico legame con la madre. Si rivive la madre onnipotente dell’infanzia, che aveva un potere immenso proprio perche' si trattava di un potere legato all'amore, alla sopravvivenza, all’origine. Quelle di Diotima hanno parlato dell’oscuro materno che crea un cono d’ombra in cui si ritrovano le dinamiche di annullamento del sè nelle relazioni fra donne.

 

Per affrontare questo nodo e stare in libreria con agio per me è stato fondamentale trovare altre giovani donne con cui scambiare e darci forza reciprocamente. Questo mi ha permesso di non vivere come distruttiva la dipendenza dalle donne a cui do autorità. Lo scambio con queste giovani donne, il gioco di rimandi continuo, di sguardi, di parole, di vissuto che condividiamo mi ha permesso di poter trovare le energie per affrontare i conflitti senza permettere che l’emotività e l’arcaico materno distruggesse la positività della relazione con le donne che ci hanno preceduto. Dal desiderio di scambio tra donne  della stessa generazione e’ nato anche il gruppo delle Mirtiche che sta in questa ricerca di uno spazio, fisicamente separato, di discussione, dove poter far circolare la parola libera, lontano da madri simboliche fondamentali, ma ingombranti. L’esigenza di questo luogo separato a mio parere e’ legato a questo ingombro e alla difficoltà di vivere conflitti in cui si teme l’invasione dell’altro, o la distruzione della relazione. Senza questo spazio e quelle relazioni penso che sarebbe stato molto più difficile stare nella dipendenza. 

 

Quello che qui vorrei far emergere e’ l’importanza di riconoscere la complessità, la contradditorietà e l’ambivalenza di questo rapporto che diventa relazione positiva nel momento in cui si individua il punto di distanza che consente di aprire un rapporto e non autorizza a disporre dell'altro. La relazione con la madre dovrebbe a mio parere essere fatta di spazi, di pause, di allontanamenti e avvicinamenti, di ritmi irregolari. Unità e distacco non dovrebbero essere solo momenti successivi nel tempo, ma maglie di una rete, anelli di una catena infinita.

 

Per mia figlia, che ha quasi 4 anni, tutto ciò che rappresenta il mondo femminile ha un valore enorme. E’ sempre incinta di 3-4 bimbe (lei ritiene, nonostante le mie spiegazioni, che saranno i maschi a partorire i maschi), quando siamo in ascensore mi dice “come siamo fortunate mamma, che le ascensori sono femmine!”, i suoi miti sono 5 fate, tutte diverse, che grazie alle relazioni fra loro combattono le streghe molto meglio dei maghi, che invece sono sempre in competizione. I maghi riescono a vincere solo quando riconoscono alle fate una competenza femminile di valore, oltre alla capacità di darsi reciprocamente forza. E questi cartoni animati, che hanno un enorme successo anche tra le ragazzine adolescenti, sono i primi cartoni italiani che stanno spopolando anche negli stati uniti. Il mondo femminile con cui viene a contatto e’ sempre più un mondo in cui può riconoscere una libertà fuori da ruoli prestabiliti e schemi tradizionali. Tra l’altro lei si identifica tanto nelle fate quanto nelle streghe cattive, e anche questo mi pare un bel gesto di libertà.

Io d’altra parte l’accudisco, la porto ai giardini, e le racconto le fiabe, ma dedico molto tempo anche al mio lavoro che mi ha richiesto tanti anni di studio e mi porta in giro per il mondo, e in più faccio politica, che e’ la mia passione, e sono quindi spesso fuori casa. Mentre il mio compagno diversamente da molti uomini, non ha scelto la carriera ma un lavoro tranquillo che gli permettesse di mettere le sue energie anche altrove: letture, gli scacchi, la casa e la figlia. Così prende la metà di me ma passa molto del suo tempo a casa, che e’ un po’ il suo regno e che cura con più dedizione di me. Inoltre ama tanto quanto me occuparsi della bambina e dedicarle tempo e attenzioni. E di quest’ultima cosa io gli sono molto grata perchè sempre più diviene per lei un altro punto di riferimento che le consente di allentare quel legame fortissimo che rappresenta una tentazione verso la simbiosi. Mi aiuta a rendere la relazione con lei più complessa, e solleva me anche da responsabilità che mi soverchierebbero. Non si tratta solo di avere tempo per sè, anche se questo non e’ poco, ma si tratta di poter fare un passo indietro per affrontare meglio la paura legata all’esser messa su un piedistallo, al suo desiderio e le mie pretese di perfezione, quel tutto pieno che metterebbe in pace. Da quando mia figlia accetta volentieri di passare del tempo con il padre e si diverte a giocare con lui per me e’ stato un sollievo, soprattutto per la paura di me stessa, per la paura della madre onnipotente che porto dentro di me. E devo dire che, sebbene deve mettere molte più energie per attirare la sua attenzione, e’ un piacere anche per me vedere come creano la loro complicità e si divertono assieme.  

 

La mia posizione quindi non ha nulla a che fare con la critica del primo femminismo che raccontava della lotta delle figlie per affermare la propria individualità rispetto a madri che non si erano ribellate all’ideologia patriarcale. L’onnipotenza materna non e’ solo quello della madre mortifera che da supporto alla legge paterna della società patriarcale.

 

Secondo la Brusa c’è la devastazione ogni volta che la relazione tra donne oltrepassa una certa soglia, la distanza data dalla presenza di un terzo (uomo, padre, od obiettivo) che organizza il desiderio. La devastazione sarebbe legata all’attesa, alla domanda. Si attende un riconoscimento che sanzioni un godimento. Una sanzione che lo riconosca e lo introduca nel mondo degli scambi possibili.

Indubbiamente la funzione del terzo non implica il ritorno all’autorità patriarcale, e neppure deve essere assimilato automaticamente al principio maschile, e quindi al padre, alla legge. Il terzo dovrebbe esser essere inteso come un differenziatore deputato ad evitare la confusione di identità, sarebbe un mediatore che dovrebbe impedire il dominio di una persona su un’altra.

 

La Brusa scrive nel suo libro che la funzione del padre non è data necessariamente da un uomo ma può anche non incarnarsi in una persona.

Carmen Martin Gaite, in Lo specchio materno di Anna Salvo, descrive la madre quando interrompe le sue attività quotidiane per guardare la finestra, e si impossessa del suo tempo. In questo momento la madre si offre come una persona capace di vivere anche per sè, nel rispetto dei propri desideri e dei propri bisogni. Ed e’ questa capacità che risulta incantatrice per la figlia. Ciò che l’affascina e’ di non avere perennemente bisogno di occuparsi della figlia per essere confermata nella sua persona. Ma penso che si tratti anche del vissuto conflittuale della figlia rispetto ad una madre che sfugge, che non si comprende, nel senso proprio di averla in mano. Il mondo entra a mettere distanza, a creare uno spazio che rende la madre altro da sè e permette alla figlia di trovare quella differenza che orienta il desiderio.  

Così chiedo a Luisella Brusa e a voi: la libertà di poter disporre di sè, come per la madre di Martin Gaite, la capacità di individuare la posta in gioco e di dare valore anche a ciò che va oltre la relazione, le altre relazioni duali che intervengono a fare spazio, come per me in libreria, potrebbero rappresentare quel terzo che permette di creare la distanza necessaria per evitare la devastazione?

 

 

La parola a Luisella Brusa

“Questo invito che mi colloca dentro una lunghissima tradizione di cui Laura e Sara hanno dato gli elementi di una vastità e solidità assodata – inizia la psicoanalista lacaniana - e dunque la mia presenza a qui è grata a loro e anche a Luisa Muraro, incontrata al seminario di Orvieto, la cui accoglienza benevola per quello che ho portato ha aperto la strada al proseguimento di un percorso.

E’ un invito su dei temi di ricerca comuni a partire da discorsi differenti: il discorso femminista ripreso nella sua complessità e il punto di vista di cui mi occupo, che è molto particolare preciso e vincolato a una pratica che è quello psicoanalitico. Quello che dico, lo dico a partire dalla pratica della psicoanalisi, dalla mia e da quello delle mie pazienti e a partire dal sapere psicoanalitico che nella fattispecie si riferisce a Freud e Lacan per quanto mi riguarda.

Lacan perché ho trovato in lui gli strumenti per una ricerca che mi stava a cuore. E’ un punto di enunciazione particolare che si tratta di vedere in che modo incrociarsi in questo.

Il tema che hanno estratto come tema di interrogazione è questo oscuro e negativo nella relazione tra donne. E’ un oscuro che si incontra regolarmente nelle analisi femminili soprattutto con una psicoanalista donna, si incontra soprattutto dopo un po’, dopo una fase in cui si mostra in primo piano l’idealizzazione. E’ un oscuro che è fatto di due versanti: un amore forte, particolarmente forte e intenso, l’amore di una ricerca che scruta l’altra per trovare nell’altra qualcosa di se stessa ed è un amore talmente forte che è subito pronto a virare in invidia, odio, rancore. E’ un amore instabile, è un amore odio non ben separati, molto prossimi però che scivolano molto facilmente nell’uno e nell’altro, dando luogo a le due facce di cui ho parlato nel libro che hanno citato, dando luogo a una relazione di devastazione che spesso troviamo nei rapporti tra donne, tra madre e figlia in particolare, rapporti che si trascinano anche per tutta la vita in una sofferenza estrema: amore e sofferenza, rivendicazione e odio. Quindi devastazione da un lato e rapimento dall’altro. Rapimento nel senso della adorazione statica e muta dell’una per l’altra. E’ un tipo di relazione specificatamente femminile perché non c’è nulla di analogo nei rapporti con gli uomini. La lotta per il prestigio fra gli uomini si svolge in un terreno organizzato in un calcolo di punti e di tacche che deciderà alle fine il vincitore. Questo non ha equivalenti nei rapporti femminili e questa mancanza di misurabilità decide il vincitore e rende infinita senza limiti e senza argini questa relazione. Ciò che mi ha interrogata è da dove viene questo tipo di odio amore, come mai si dà questo nelle relazioni tra donne tra madre figlia e tra figlia madre.

C’è una risposta freudiana che è nota è cioè: la bambina esce dall’Edipo con l’invidia del pene e la conseguenza nel rapporto con la madre di questa invidia è il rancore per non averla dotata di questo organo così valorizzato. La visione di Freud è complessa ma su questo punto questa è la tesi. Una tesi tutta dentro il sistema di rappresentazione edipico e dalla formazione della soggettività data dall’Edipo con il padre edipico la madre edipica.

La tesi che sostengo nel libro appoggiandomi su Lacan è che questa devastazione non venga dall’Edipo. Si tratta di una tesi che valorizza questo tipo di relazione femminile per vedere che cosa dice in positivo della femminilità. La tesi freudiana chiude il discorso: la femminilità è qualcosa che manca e dunque ne consegue un invidia e rancore. Se non consideriamo la femminilità in questi termini ma piuttosto come qualcosa non definito dall’Edipo, diventa una posizione soggettiva che non è esaurita dalla posizione edipica cioè della donna come mancante del pene.

A partire da questa lettura abbiamo la possibilità di leggere la devastazione e il rapimento in tutt’altri termini. Se l’uomo è interamente definito nella sua virilità e nel suo essere virile di uomo dal fallo, la lotta di prestigio e identità si gioca sulla misura del fallo e dei suoi equivalenti (successo, carriera,  macchine e donne, ndr). La donna, e questa è la tesi nota di Lacan, non è interamente definita dal fallo. Cioè può averci a che fare ma non interamente. Dire così è diverso da definire la donna mancante. Può averci a che fare come con tutti gli equivalenti fallici (potere, conquista, carriera, figli e uomini, ndr) ma questo non le dà un’identità come donna. Non è più donna perché ha più successo o carriera, quindi dà un’identità come soggetto ma non come soggetto femminile. Ciò che di lei la fa donna è situato al di là del fallo e di là dell’Edipo. Al di là del padre, non viene da lui un’indicazione sul cosa vuol dire essere donna. Come donna, presa per se stessa e non a confronto con l’uomo, non le manca niente. Sul suo corpo il godimento, è uno dei tratti essenziali in psicoanalisi per definire una soggettività, non si iscrive come perdita, non si iscrive nell’alternanza fallica che definisce il godimento per l’uomo. Per la donna non c’è nulla di analogo, piuttosto il godimento si esprime nel suo corpo come un supplemento, un qualche cosa in più che non si condensa in un organo, che è diffuso, che non si iscrive in un organo preciso il quale ha anche una funzione significante come il fallo.

Non si iscrive in un organo che sarebbe simmetrico del fallo, la falla. Non c’è la falla quindi che darebbe un’identificazione sessuale in un organo preciso con un significante che è quello che fa la virilità.. In più il fatto che il fallo si condensi in un organo e passi a significante dà un rapporto particolare con la parola perché il fatto che il fallo abbia una funzione significante permette al godimento fallico di passare integralmente nella parola e nella scrittura automaticamente. Questo non avviene dal lato femminile ed è qualche cosa che le donne sanno bene perché il disagio delle donne con la parola, la fame di senso inesauribile, di senso ‘altro’ che Iride denunciava e su cui Luisa Muraro a Diotima ha lavorato. E’ qualcosa che ha a che fare con il rapporto del godimento femminile che non è iscritto in un organo significante che passa al linguaggio. Dunque l’ipotesi che adesso dicevo è che questo oscuro femminile sia legato a questo supplemento che non si lascia assorbire da un organo significante e un’identità. E che il noto disprezzo e rancore per la madre venga dal fatto che la figlia le imputa la responsabilità di questa impossibilità. Il figlio maschio non ha questo problema e quindi può amare la madre senza rancore. La figlia imputa alla madre di non essere un padre, di non fare la funzione equivalente di un padre. Solo che questo non è una colpa della madre è un dato di struttura della femminilità ed è contemporaneamente il suo valore incalcolabile: essere altro o altra dall’ordine simbolico organizzato in senso fallico essere il punto di fuga dell’ordine simbolico organizzato in senso fallico. Essere il punto di fuga dell’ordine simbolico organizzato in senso fallico. Punto di fuga dell’ordine simbolico che apre a qualche cosa che non è ordinato ma che ha più la forma dell’infinito. Questo supplemento, a cui è prossima, è un ombelico dell’ordine simbolico che la colloca in rapporta dell’aldilà della presa del simbolico sul reale, al di là del potere di dominazione, di coincidenza delle parole con le cose che avviene dentro l’ordine simbolico. E’ un apertura diretta sul reale dove non ci sono parole date. E’ un punto che apre sul senza nome e sul senza limite che facilmente precipita nell’oscuro; è un punto senza nome che poiché non c’è un nome a fermarlo si riempie con regressione dal simbolico all’immaginario; la relazione passa da una relazione simbolica in cui ci si identifica con un nome e con un simbolo virile. Passa poiché c’è un vuoto a questo livello a una relazione immaginaria una relazione allo specchio: io sono te e tu sei me con una conseguente perdita di sé.

E’ un punto non organizzato dal simbolico con cui le donne hanno particolarmente a che fare su cui si apre la forza pura dell’infinito che può essere anche l’infinito della perdita per via del masochismo femminile. La forza pura dell’infinito o la forza pura della vita in quanto tale, slegata dalla forma datale dal simbolico.

Dunque è una prossimità maggiore con questo reale pulsante al di là dell’organizzazione simbolica che particolarmente prossimo alla vita, che non ha forma sul quale la madre non trasmette un nome e chiuda la questione e con cui ciascuna donna ha da trovare un  suo modo di averci a che fare da rendere vivibile. Questo reale pulsante che non ha una forma precostituita del fallo, che non ha una modalità di godimento precostitutita. Che la madre non sia un padre e non funzioni analogamente a lui nella trasmissione permette che resti vivo e pulsante questo punto esterno al simbolico che con la sua sussistenza relativizza l’ordine simbolico perché lo decompleta. Se il simbolico potesse coprire interamente il reale sarebbe la fine della differenza. E questo punto che rimanda esterno all’ordine simbolico non riassorbile che preserva una differenza inconciliabile per essere resa vivibile dentro la pulsione di vita dentro la pulsione di morte che deriva dall’oscuro, richiede delle invenzione particolare di ciascuna e non ripetibile. Non c’è un know-how, un  modo di fare prefigurato. Ci sono delle testimonianze e del lavoro su questo di cui la Libreria fa parte che è un  lavoro di invenzione che ruota sulla scrittura intesa come uso particolare della parola, per coglierne quel versante che dà verso il reale (Woolf, Duras, Lispector) che gioca sulla parola della lingua materna intrisa e prossima a un godimento non organizzato, quella che lavora non sul senso ma sul suono e omofonia per dire qualcosa dell’indicibile che il simbolico tout court tradisce.

L’altra via è la mistica, nel senso su cui Luisa Muraro lavora,  del rapporto diretto con l’altro mancante non con l’altro dell’ordine della legge ma dell’amore, che manca di qualcosa. La mistica è un modo di rapportarsi con questo aldilà dell’ordine della legge ma con delle parole per dire l’indicibile di un esperienza d’amore con un altro particolare un altro mancante. L’amore è una delle modalità per eccellenza delle donne per trattare questa apertura sull’infinito.

 

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serenafuart
14 settembre 2012 5 14 /09 /settembre /2012 10:23

Sembra di un’harmony un titolo così. Invece è una riflessione che voglio fare.

Esiste l’amicizia tra rivali, tra due donne ad esempio che si contendono una o un amante? Ebbene sì. Di che tipo è quest’amicizia?

Partiamo dall’inizio.

Quando ero un’adolescente conoscevo due ragazze, mie coetanee, compagne di scuola. Si odiavano a causa di un ragazzo, addirittura una volta una delle due ha aspettato l’altra fuori da scuola per suonargliele.

Dopo un periodo di tempo da quell’episodio, le ho viste parlare come due amiche, scambiarsi consigli sui capelli e via dicendo.

Com’era possibile? Mi sono chiesta.

E’ stata mia madre ricordo a spiegarmi che il miglior modo per superare la rivalità, quindi la tensione e tutti i lati negativi di questa, è allearsi.

E spesso, mi ha detto, le donne lo fanno. Degli uomini non abbiamo parlato ma qua non ci interessa.

Mia madre aveva ragione, molti casi della vita mi hanno portato a vedere situazioni simili. Anzi una volta è accaduto anche a me: quando lavoravo da segretaria di redazione-giornalista il mio obiettivo era scrivere di più ma avevano assunto una redattrice che mi avrebbe tolto molti articoli.

Ne ero gelosa, invidiosa e quant’altro. Mi ricordo che non la sopportavo (e non era colpa sua poverina) ma ero così delusa e arrabbiata che avevo reagito così. Tra noi c’era tensione e io le rispondevo male.

Poi ci ho pensato e finalmente è stato chiaro anche a me che non era colpa sua, che avrei potuto prendere esempio dalla sua bravura e poi mi ero anche resa conto che era proprio una bella persona. Non valeva la pena quella rivalità.

Così ho superato quel sentimento e i nostri rapporti sono migliorati a tal punto che da colleghe siamo diventate confidenti.

 

Non so se tutte le “rivali” che diventano amiche poi hanno una trasformazione completa del rapporto (amiche vere e non false). Certo ci saranno casi e casi. Ma posso testimoniare che anche da un sentimento di competizione e sicuramente non positivo può nascere qualcosa di bello se elaborato. Poi c’è anche la falsità che persiste comunque….ma continueremo a parlarne

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serenafuart
13 settembre 2012 4 13 /09 /settembre /2012 10:59

TRA IL MATRICIDIO E IL MONUNTO ALLA MADRE: LA POLITICA DELLE DONNE

 

Si tratta di una serie di incontri avvenuti alla Libreria delle donne nel 2005. Sara Gandini e Laura Colombo sono state le organizzatrici. Un bellissimo progetto.

Così hanno scritto per spiegarlo

“In questo ciclo di incontri che si terranno al Circolo delle Rosa (Via Pietro Calvi 29, Milano)  vorremmo esplorare il senso e la complessità della relazione tra donne e della relazione madre/figlia, e verificare la forza delle genealogie femminili al presente.

Vogliamo indagare come la relazione madre/figlia segna la politica delle donne – la politica che ci sta a cuore – a partire dagli scacchi, dalle contraddizioni, dai nodi della relazione tra donne.

È un tema cui si collegano molti aspetti, che si allargano per cerchi concentrici: la dipendenza, il sottile confine tra autorità e potere nelle relazioni tra donne, il fantasma della madre e l'oscuro materno, in che modo questo entra nella relazione, e come entra nella società occidentale e capitalistica in cui viviamo...

 

È un percorso che si sta affrontando a diversi livelli nel femminismo. Ci riferiamo per esempio all'ultimo libro di Diotima (La magica forza del negativo, Liguori 2005) e al seminario che si è appena concluso a Verona (L'ombra della madre); allo scambio tra Adriana Cavarero e Judith Butler sull’ultimo numero di Micromega; all’intervista che Ida Dominijanni ha fatto

a Luisa Muraro in occasione della sua lectio magistralis (il Manifesto, 28-10-2005). In queste settimane inoltre si tiene al Circolo della Rosa un ciclo di Film intitolato "Di madre in figlia", organizzato dall'Associazione Lucrezia Marinelli e Donatella Massara.

 

Così abbiamo pensato un ciclo di incontri che spaziano dalla psicoanalisi alla politica delle donne, al cinema, alla letteratura, alla storia … su questo nodo importante e sempre ricco di contraddizioni….”

 

Sara e Laura sono due mie grandi amiche. Sono molto in gamba e vorrei pubblicare i prodotti di quel ciclo di incontri che sono stati trascritti.

Il rapporto con mia madre

Sono molto sensibile al tema.

Trovo che ritrovare la madre sia ritrovare se stesse. La madre è colei che ci ha messo al mondo, che ci ama di un amore incondizionato. Ritrovarla è colmarsi d’amore

Ricordo gli anni in cui ero una giovane donna con la testa da adolescente (dai 18 ai 24 anni)

Per una serie di circostanze che sono lunghe da spiegare consideravo mia madre una nemica. Non la sopportavo, la evitavo ecc.

Quella volta vivevo male. Molto male. Ero molto insicura e vagavo per il mondo in cerca di qualcuno che potesse colmare il vuoto che la sua assenza faceva sentire forte.

Vagavo e vagavo e sono finita nei guai, nel senso che ho conosciuto non proprio delle belle persone che facevano leva sul mio bisogno d’amore per coinvolgermi nei loro guai.

Ne sono uscita in tempo ma molto turbata. Inoltre ho anche avuto un incidente non grave con la macchina. La causa dell’incidente, si capiva, era dovuta alla mia ansia e disattenzione …

Mia madre allora mi ha preso in disparte una sera e mi ha chiesto “che succede?” Le ho detto tutto. Mi sono confidata. Lei mi ha offerto tutto il suo appoggio e il suo affetto.

Ho cambiato strada e da quella volta mia madre è diventata il mio punto di riferimento. La amo di un amore grande, più grande di qualunque altra persona.

Non sono più insicura e non c’è vuoto dentro di me. E’ la donna che mi ha messo al mondo e dà significato simbolico alla mia esistenza. Non ho bisogno di andare in cerca di affetto tranne che di amicizie e di una relazione sentimentale (la ricerca avviene tranquillamente non in modo dipendente come ai tempi).

Mi sento forte e vado sicura per il mondo

 

 

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